Storie

Quando al Fusaro non c'era niente

Il tempo passa, ma i ricordi restano. Restano indelebili dentro di me, come trame di film, di canzoni e volti cari che non posso e non voglio dimenticare. Ogni tanto, però, quando bussano forte alle porte del cuore, vengo preso da un profondo senso di malinconia. Penso che solo l'altro giorno ero lì con loro, insieme ai miei cari, sentendomi un bambino felice, sereno, che amava la vita.

Quando penso a quei momenti la mia espressione cambia radicalmente, soprattutto negli atti del volto, dividendosi a metà tra il sorriso e il pianto. In conflitto con l'anima, che combatte con sé stessa, vorrei ridere ma non oso. E la soddisfazione di piangere non l'ho mai potuta avere. Il mio animo fronteggia una forte opposizione, come una fotografia che mostra un forte contrasto di luce e d'ombra o di colori, mancando dei toni intermedi.

casina vanvitelliana achille mauri
Casina Vanvitelliana. Foto di Achille Mauri.

Nella foto in bianco e nero della vita si nascondono tante storie, a volte belle, in altre tristi. All'epoca abitavamo al Fusaro, nelle “palazzine” realizzate agli inizi degli anni '50, per gli operai della Microlambda - Selenia - Alenia - oggi Selex. All'epoca, la frazione del Fusaro era una landa desolata. Non c'era niente, ma era bellissima. Vivere al Fusaro significava essere parte attiva di un componimento poetico o di una pittura che raggiunge il sublime. Tutto appariva fermo nel tempo immoto, come in una fiaba dei fratelli Grimm.

Le devastazioni e lo scempio dell'identità storica dei luoghi si paventerà più tardi, con ingiustificate azioni speculative. Alle nostre abitazioni facevano da pendant la scuola elementare e quelle un po' più attempate della Via “Vecchia” (via Virgilio), la salumeria di “Spennacora” e quella di “Micalone” lungo la strada per Cuma. E poi, nulla più. Non c'era null'altro che fosse Storia, Mito, Leggenda.

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Veduta del Fusaro del 1925. Autore Ignoto.

La Casina Vanvitelliana era una meravigliosa perla architettonica visibile da ogni bordo del lago. A volte la la terra si “mischiava” all'acqua e la collina dello Scalandrone si rifrangeva sulle calme acque del lago. Nell'Acherusio la Storia foderava la pietra, impregnandola di Mito e Leggenda, d'imperitura Gloria. Di tanto in tanto voci lontane, indistinte di antichi aedi, cantavano le gesta epiche di uomini e dèi.

Quando il sole appena sveglio sfiorava l'onda, molte barche irrompevano l'orizzonte. I pescatori battevano le fiancate e l'acqua con i remi, spingendo i pesci e la rete verso il bordo. Il lago regalava sempre i suoi frutti. Voci si sovrapponevano ad altre voci, ma su tutte prevaleva quella di “Vicienz' 'u Luongo”, che scandiva i tempi di pesca. Ormai in trappola, i pescatori tiravano su col coppo spigole, cefali, orate e seppie. Era la “Cesarana”, una pesca originale quanto antica, che affondava le sue radici al tempo di Re Ferdinando.

Il lago Fusaro era un luogo magico, carico di eterna poesia. Incontrare una macchina in strada, era una rarità concessa a soli pochi eletti. E un bel dì d'estate gli eletti si materializzarono “'ngoppa 'i Palazzine”. Era una berlina nera a cinque porte, assai simile a un'autovettura americana, con chauffer in guanti bianchi, cappello e livrea blu. Ben presto intorno alla luccicante carrozzeria e agli spaesati viaggiatori, si materializzò un capannello di curiosi, formato da comari del posto e da bambini scalzi allegramente malvestiti. Una di queste scrutò nell'abitacolo, portò le mani in faccia e disse incredula: “Marò, dint''a macchina nce stà Totò, Tina Pica e Vittorio De Sica”. Evidentemente, i tre famosi viaggiatori avevano sbagliato strada, forse ingannati da un'errata indicazione.

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Veduta del Lago Fusaro e Spiaggia di Cuma. Autore Ignoto.

Oggi immagino la scena, con il Principe Totò che poco prima aveva abbassato il finestrino chiedendo al villico di passaggio: “Ehm... mi scusi... buonuomo, per andare a Napoli, per dove dobbiamo andare?”. E questi che gli risponde: “Ah, a Napule? Signurì, pe Napule avita piglià a primm''a destra”, volendo indicare la salita che porta all'Arco Felice e quindi alla Domiziana.

Ma, con ogni probabilità, non seppe dare le giuste “coordinate” e spedì macchina, Principi e Reali nella Val Brembana, alias 'ngoppa 'i Palazzine della Selenia.

Per frequentare le medie o fare anche la più banale delle commesse bisognava prendere, quando passava e se passava, il famoso pullman di “Guardascione”. Ma era un azzardo, perché spesso si fermava per guasti e l'autista, ormai avvezzo, diceva: “Guagliù, scennite e vuttate”. A quel tempo, recarsi a Bacoli, equivaleva a una memorabile gita a Roma.

Bacoli così vicina, eppur così lontana. Anche se al Fusaro non c'era niente attraverso gli occhi innocenti e incantati di un “bambino” ho filtrato e rivissuto l'incanto di un flashback di un'epoca che è stata e rimane una parentesi indelebile della mia storia.

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